Mal di Sardegna
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Mal di Sardegna
Per chi nasce su un’isola il mare è la realtà. La terraferma è un dettaglio che consente la sopravvivenza, ma tutto il resto è acqua. Ostacolo o legame, pericolo e sicurezza. E quello di settembre è caldo, avvolgente, bello.
Si erano incontrati la prima volta sulla spiaggia, un appuntamento che aveva emozionato entrambi. Un appuntamento nato dal caso e voluto dal mare, come avrebbe detto D. In quel breve momento avevano provato a raccontarsi due vite che avevano finito per convergere lì, sotto quel vento piacevole e davanti a quella distesa d’acqua dai toni argentei.
Lo aveva aspettato per un po’, distesa al tepore delle ultime ore di sole. Lui l’aveva colpita in qualche modo, non il suo aspetto: le poche rughe ai bordi degli occhi e sulla fronte, la barba corta e screziata di grigio, il corpo magro e poco slanciato. C’era qualcosa però nello sguardo, negli occhi castani con riflessi verdognoli, sotto le folte sopracciglia aggrottate, qualcosa che scaldava e spaventava. Restava da decidere se vedersi nuovamente, il giorno dopo.
La notte non aveva portato troppa chiarezza nel cumulo di pensieri e sensazioni arrivate dopo l’incontro del pomeriggio.
- Sei ancora libero stasera?- gli aveva scritto al termine di una sequela di messaggi che andavano esattamente nella direzione opposta ad un altro eventuale appuntamento.
Si sarebbero rivisti dunque, in centro.
Ci sono luoghi più adatti di altri agli incontri, ci sono momenti più adatti di altri. Settembre, il mese che chiude l’estate e apre all’autunno, l’aria ancora abbastanza calda, ma che inizia a caricarsi di una luce diversa.
Cagliari, una città di incontro, tra cielo, mare e terra. Tra venti opposti. Tra popoli e persone. Quartieri diversi si fondono all’ombra di grandi viali o strette viuzze che si arrampicano verso la sommità del colle di Castello.
Nata forse dal soffio dello scirocco che ha spinto nel golfo le navi fenice migliaia di anni fa, corse incontro al maestrale che fin qui aveva spinto i nativi, conserva il sapore della sua storia mediorientale intrappolata nel tufo, sommersa nei suoi laghi sotterranei, sospesa nel fiato del vento e nella salsedine aggrappata al ferro battuto dei balconi.
Dove vedersi quella sera? Uno spazio piacevole, insieme intimo ma che non sia un esplicito invito ad andare oltre, lasciarsi una via di fuga, ma non rischiare di incontrare nessuno che interrompa la scoperta dell’altro. Un luogo intenso, ma non ricercato, semplice eppure bellissimo.
Pochi passi oltre la torre di S. Pancrazio, vigile sopra le palazzine dalle tinte pastello, si arriva al chiosco del belvedere di Buoncammino. Tra i tavolini disposti sul cemento caldo, alla ricerca di una gradevole quanto provvidenziale brezza serale, D. osserva il luccichio delle banchine del Porto canale, a cui gli ultimi bagliori del tramonto hanno ceduto la scena nel golfo della città.
Arrivano tenui sentori di mare, il suono dei clacson di spazientiti conducenti di ritorno verso casa o diretti verso la movida serale. Si fa spazio tra i rumori la voce del barista che accoglie nuovi clienti. Il mare ha tinte cupe mentre esplodono i colori delle facciate di Stampace, illuminate debolmente dai lampioni e dalle lampade accese oltre le soglie dei balconi.
La calura è insopportabile e piacevole, dai toni evidentemente esotici. Si intona perfettamente al profilo delle palme che si stagliano contro l’imbrunire cercando tra il profilo di un palazzo e quello lontano dei monti di Capoterra il proprio spazio nella cornice di fine estate.
Guarda tutto, ne assapora l’intensità attraverso la pelle. Aspetta, leggendo distrattamente la brochure di programmazione di un teatro di provincia.
Il prosecco davanti a lei si scalda pian piano, rilasciando nell’aria le note alcoliche e ricorda le passeggiate d’agosto lungo i filari d’uva cotta dal sole.
Solleva il calice, lascia che una lieve freschezza si sciolga tra lingua e palato, avverte la piacevole sensazione di leggerezza data dal vino arrivarle a sfiorare la testa, la punta delle dita delle mani.
Un messaggio sul telefonino annuncia la fine dell’attesa, di quel tempo per sé stessa. Poi la serata prenderà la sua direzione, al di là di tutto, al di là delle scelte e delle decisioni. Ma Cagliari resta. Col suo calore, con il suo profumo, col suo sudore.
Le ore successive scivolano via come vele sull’acqua sospinte dal vento. Qualche risata. Molti sguardi. - Stanno per chiudere. Ci spostiamo?
Nel tragitto verso la parte bassa del colle, sul selciato irregolare, tra le pareti umide delle case trovano il tempo di affacciarsi al belvedere. Poi piazza Palazzo, le luci soffuse.
Arrivano le note di un tango nella cornice bianca del Bastione e a lui viene voglia di stringerla a sé e baciarla.
L’ultimo bicchiere in un localino di Piazza San Giacomo, quasi deserta a quell’ora. Siedono sul muretto ancora caldo di fronte al locale, gli ultimi attimi di quella serata irreale. Lo scirocco deposita sulla loro pelle il sapore del mare, la luce gialla del lampione è solo per loro.
Le ultime battute, il finale atteso e inaspettato:- Non proverò a baciarti.
Nessuna frase sarebbe potuta sembrare più ipocrita, eppure vera.
Aspettava quel bacio, aspettava di colmare con le sue labbra il sapore dell’estate.
E poi a riempire la notte è arrivato tutto, il suono del cuoio sulla pietra, l’odore dell’asfalto e delle foglie di cappero, la pelle contro la pelle. E il sudore, come acqua di mare, salato, avvolgente, bello. [/pre][/pre][/align][/align][/font]
Si erano incontrati la prima volta sulla spiaggia, un appuntamento che aveva emozionato entrambi. Un appuntamento nato dal caso e voluto dal mare, come avrebbe detto D. In quel breve momento avevano provato a raccontarsi due vite che avevano finito per convergere lì, sotto quel vento piacevole e davanti a quella distesa d’acqua dai toni argentei.
Lo aveva aspettato per un po’, distesa al tepore delle ultime ore di sole. Lui l’aveva colpita in qualche modo, non il suo aspetto: le poche rughe ai bordi degli occhi e sulla fronte, la barba corta e screziata di grigio, il corpo magro e poco slanciato. C’era qualcosa però nello sguardo, negli occhi castani con riflessi verdognoli, sotto le folte sopracciglia aggrottate, qualcosa che scaldava e spaventava. Restava da decidere se vedersi nuovamente, il giorno dopo.
La notte non aveva portato troppa chiarezza nel cumulo di pensieri e sensazioni arrivate dopo l’incontro del pomeriggio.
- Sei ancora libero stasera?- gli aveva scritto al termine di una sequela di messaggi che andavano esattamente nella direzione opposta ad un altro eventuale appuntamento.
Si sarebbero rivisti dunque, in centro.
Ci sono luoghi più adatti di altri agli incontri, ci sono momenti più adatti di altri. Settembre, il mese che chiude l’estate e apre all’autunno, l’aria ancora abbastanza calda, ma che inizia a caricarsi di una luce diversa.
Cagliari, una città di incontro, tra cielo, mare e terra. Tra venti opposti. Tra popoli e persone. Quartieri diversi si fondono all’ombra di grandi viali o strette viuzze che si arrampicano verso la sommità del colle di Castello.
Nata forse dal soffio dello scirocco che ha spinto nel golfo le navi fenice migliaia di anni fa, corse incontro al maestrale che fin qui aveva spinto i nativi, conserva il sapore della sua storia mediorientale intrappolata nel tufo, sommersa nei suoi laghi sotterranei, sospesa nel fiato del vento e nella salsedine aggrappata al ferro battuto dei balconi.
Dove vedersi quella sera? Uno spazio piacevole, insieme intimo ma che non sia un esplicito invito ad andare oltre, lasciarsi una via di fuga, ma non rischiare di incontrare nessuno che interrompa la scoperta dell’altro. Un luogo intenso, ma non ricercato, semplice eppure bellissimo.
Pochi passi oltre la torre di S. Pancrazio, vigile sopra le palazzine dalle tinte pastello, si arriva al chiosco del belvedere di Buoncammino. Tra i tavolini disposti sul cemento caldo, alla ricerca di una gradevole quanto provvidenziale brezza serale, D. osserva il luccichio delle banchine del Porto canale, a cui gli ultimi bagliori del tramonto hanno ceduto la scena nel golfo della città.
Arrivano tenui sentori di mare, il suono dei clacson di spazientiti conducenti di ritorno verso casa o diretti verso la movida serale. Si fa spazio tra i rumori la voce del barista che accoglie nuovi clienti. Il mare ha tinte cupe mentre esplodono i colori delle facciate di Stampace, illuminate debolmente dai lampioni e dalle lampade accese oltre le soglie dei balconi.
La calura è insopportabile e piacevole, dai toni evidentemente esotici. Si intona perfettamente al profilo delle palme che si stagliano contro l’imbrunire cercando tra il profilo di un palazzo e quello lontano dei monti di Capoterra il proprio spazio nella cornice di fine estate.
Guarda tutto, ne assapora l’intensità attraverso la pelle. Aspetta, leggendo distrattamente la brochure di programmazione di un teatro di provincia.
Il prosecco davanti a lei si scalda pian piano, rilasciando nell’aria le note alcoliche e ricorda le passeggiate d’agosto lungo i filari d’uva cotta dal sole.
Solleva il calice, lascia che una lieve freschezza si sciolga tra lingua e palato, avverte la piacevole sensazione di leggerezza data dal vino arrivarle a sfiorare la testa, la punta delle dita delle mani.
Un messaggio sul telefonino annuncia la fine dell’attesa, di quel tempo per sé stessa. Poi la serata prenderà la sua direzione, al di là di tutto, al di là delle scelte e delle decisioni. Ma Cagliari resta. Col suo calore, con il suo profumo, col suo sudore.
Le ore successive scivolano via come vele sull’acqua sospinte dal vento. Qualche risata. Molti sguardi. - Stanno per chiudere. Ci spostiamo?
Nel tragitto verso la parte bassa del colle, sul selciato irregolare, tra le pareti umide delle case trovano il tempo di affacciarsi al belvedere. Poi piazza Palazzo, le luci soffuse.
Arrivano le note di un tango nella cornice bianca del Bastione e a lui viene voglia di stringerla a sé e baciarla.
L’ultimo bicchiere in un localino di Piazza San Giacomo, quasi deserta a quell’ora. Siedono sul muretto ancora caldo di fronte al locale, gli ultimi attimi di quella serata irreale. Lo scirocco deposita sulla loro pelle il sapore del mare, la luce gialla del lampione è solo per loro.
Le ultime battute, il finale atteso e inaspettato:- Non proverò a baciarti.
Nessuna frase sarebbe potuta sembrare più ipocrita, eppure vera.
Aspettava quel bacio, aspettava di colmare con le sue labbra il sapore dell’estate.
E poi a riempire la notte è arrivato tutto, il suono del cuoio sulla pietra, l’odore dell’asfalto e delle foglie di cappero, la pelle contro la pelle. E il sudore, come acqua di mare, salato, avvolgente, bello. [/pre][/pre][/align][/align][/font]
- Il Dottore
- Messaggi: 481
Re: Mal di Sardegna
Ciao Nero e benvenuto anche qui.
Non dimenticare di commentare i racconti degli altri partecipanti al Laboratorio ;)
Non dimenticare di commentare i racconti degli altri partecipanti al Laboratorio ;)
Sono pronto a vivisezionare i vostri racconti... soffriranno, ma sarà per il vostro bene!
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- Messaggi: 6
Re: Mal di Sardegna
Grazie per il benvenuto,
certo, cercherò di vincere l'imbarazzo (che nel criticare supera quello di farmi leggere) e proverò a rendermi utile.
certo, cercherò di vincere l'imbarazzo (che nel criticare supera quello di farmi leggere) e proverò a rendermi utile.
- Signor_Darcy
- Messaggi: 340
Re: Mal di Sardegna
Ciao Nero.
Racconto interessante, senza dubbio, che mostra una discreta vena stilistica che emerge nei brevi frammenti dedicati ai due protagonisti.
Noto però diversi elementi un po' problematici: intanto la descrizione di lui, un po' didascalica. I vari elementi fisici e caratteriali potrebbero emergere un po' alla volta, nella discussione con lei, tra gli sguardi, eccetera.
Soprattutto, però, sembra un enorme carosello pubblicitario per Cagliari, che nel racconto si mangia tutto il resto: lui, lei, il mare (che all'inizio sembrava essere il protagonista del racconto e alla fine è solo una comparsa). A parte la breve parentesi in cui l'attenzione passa alla descrizione del prosecco, sembra che ogni gesto, ogni azione sia convogliata, quasi sceneggiata per mostrare quanto più possibile della città.
Questa frase, per esempio: "Pochi passi oltre la torre di S. Pancrazio, vigile sopra le palazzine dalle tinte pastello, si arriva al chiosco del belvedere di Buoncammino. Tra i tavolini disposti sul cemento caldo, alla ricerca di una gradevole quanto provvidenziale brezza serale, D. osserva il luccichio delle banchine del Porto canale, a cui gli ultimi bagliori del tramonto hanno ceduto la scena nel golfo della città." In quattro righe non aggiunge nulla alla vicenda, non sappiamo niente in più di D., quando invece era l'occasione buona per inserire qualcuno dei dettagli di cui sopra, specie quelli riferiti agli occhi.
Non è scritto male, ripeto; e gestisce abbastanza bene le poche dinamiche tra i due personaggi. Mi è piaciuta tra le altre anche l'ultima frase (che avrei forse chiuso con "salato e avvolgente"). Però ecco, rimane quel senso di pretesto per poter parlare di Cagliari.
Inoltre, ma è una questione stilistica personale, è tutto molto raccontato ("Lo aveva aspettato per un po’, distesa al tepore delle ultime ore di sole. Lui l’aveva colpita in qualche modo [..]").
Mi chiedo infine il senso del titolo: non si parla di nostalgia, non si parla di mal di mare o di terra, osserviamo una vicenda non particolarmente originale o strana di due persone che si piacciono e si innamorano. Curioso, ecco.
Buon tentativo, comunque: questo è un forum prezioso per migliorarsi. Ti consiglio in tal senso di partecipare alle sfide mensili dell'arena.
Racconto interessante, senza dubbio, che mostra una discreta vena stilistica che emerge nei brevi frammenti dedicati ai due protagonisti.
Noto però diversi elementi un po' problematici: intanto la descrizione di lui, un po' didascalica. I vari elementi fisici e caratteriali potrebbero emergere un po' alla volta, nella discussione con lei, tra gli sguardi, eccetera.
Soprattutto, però, sembra un enorme carosello pubblicitario per Cagliari, che nel racconto si mangia tutto il resto: lui, lei, il mare (che all'inizio sembrava essere il protagonista del racconto e alla fine è solo una comparsa). A parte la breve parentesi in cui l'attenzione passa alla descrizione del prosecco, sembra che ogni gesto, ogni azione sia convogliata, quasi sceneggiata per mostrare quanto più possibile della città.
Questa frase, per esempio: "Pochi passi oltre la torre di S. Pancrazio, vigile sopra le palazzine dalle tinte pastello, si arriva al chiosco del belvedere di Buoncammino. Tra i tavolini disposti sul cemento caldo, alla ricerca di una gradevole quanto provvidenziale brezza serale, D. osserva il luccichio delle banchine del Porto canale, a cui gli ultimi bagliori del tramonto hanno ceduto la scena nel golfo della città." In quattro righe non aggiunge nulla alla vicenda, non sappiamo niente in più di D., quando invece era l'occasione buona per inserire qualcuno dei dettagli di cui sopra, specie quelli riferiti agli occhi.
Non è scritto male, ripeto; e gestisce abbastanza bene le poche dinamiche tra i due personaggi. Mi è piaciuta tra le altre anche l'ultima frase (che avrei forse chiuso con "salato e avvolgente"). Però ecco, rimane quel senso di pretesto per poter parlare di Cagliari.
Inoltre, ma è una questione stilistica personale, è tutto molto raccontato ("Lo aveva aspettato per un po’, distesa al tepore delle ultime ore di sole. Lui l’aveva colpita in qualche modo [..]").
Mi chiedo infine il senso del titolo: non si parla di nostalgia, non si parla di mal di mare o di terra, osserviamo una vicenda non particolarmente originale o strana di due persone che si piacciono e si innamorano. Curioso, ecco.
Buon tentativo, comunque: questo è un forum prezioso per migliorarsi. Ti consiglio in tal senso di partecipare alle sfide mensili dell'arena.
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- Messaggi: 6
Re: Mal di Sardegna
Ti ringrazio molto, Signor_Darcy, effettivamente è nato tutto dal bisogno di dipingere il fascino della città che avrebbe dovuto fare da cornice alla vicenda, ma che ha preso il sopravvento prima nelle intenzioni e poi nel racconto stesso. L'ho sottoposto al laboratorio proprio per avere uno sguardo esterno più lucido. Alla luce delle tue osservazioni riesco a trovare i limiti che avvertivo ma non riuscivo a focalizzare pienamente. Raccolgo l'invito a partecipare alle sfide, ma non ho ben capito come devo fare...
- Signor_Darcy
- Messaggi: 340
Re: Mal di Sardegna
Nero Quartese ha scritto:Ti ringrazio molto, Signor_Darcy, effettivamente è nato tutto dal bisogno di dipingere il fascino della città che avrebbe dovuto fare da cornice alla vicenda, ma che ha preso il sopravvento prima nelle intenzioni e poi nel racconto stesso. L'ho sottoposto al laboratorio proprio per avere uno sguardo esterno più lucido. Alla luce delle tue osservazioni riesco a trovare i limiti che avvertivo ma non riuscivo a focalizzare pienamente. Raccolgo l'invito a partecipare alle sfide, ma non ho ben capito come devo fare...
Il lunedì sera a metà di ogni mese (estate a parte) alle 21 viene dato un tema e si hanno quattro ore per comporre un racconto libero che lo declini (in tremila, quattromila o cinquemila caratteri). C'è tutto qua sul forum - consiglio in caso di iscriversi a gruppo facebook di minuti contati.
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- Messaggi: 3045
Re: Mal di Sardegna
Racconto scritto bene, ma che sa un po’ di guida turistica. Dovresti dare un nome ai personaggi e farli dialogare fra loro, va bene che descrivi la storia d’amore fra i due protagonisti, ma un po’ di scambi di battute non avrebbe guastato. Ma questo è solo un mio parere. Lo stile ricorda molto quello di una sceneggiatura cinematografica per l’uso che fai delle atmosfere. Leggerlo incuriosisce molto su Cagliari. Testo da aggiustare un po’. Poi può andare bene per la Vetrina.
Per favore, potresti commentare il mio racconto?
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