Ultimo giorno

Finalista nella 148° Edizione del contest principale dell’Arena di Minuti Contati, un racconto di Stefano Moretto scritto sul tema “L’unica verità duratura è il cambiamento”.

 
Mi avvicino alla stanza delle capsule numero 6, la porta automatica si solleva. In fondo alle dieci capsule criostatiche che costeggiano il lato della stanza c’è il vecchio Olaf. Tiene il tablet davanti al naso e si gratta la pelata.
«Ehi Olaf.»
«Buongiorno Phil.»
Il timer sopra la capsula 64 sta per esaurirsi, tra poco dovremo scongelarlo.
«Sei pronto per l’ultimo ghiacciolo prima della pensione?»
Olaf ride e si dirige verso la scrivania.
«Sono contento di poter fare il mio lavoro un’ultima volta. Quando arriverà il nuovo ragazzo insegnagli come ho fatto io con te.»
«Anche l’iniettare il kylmos per gli attacchi di panico?»
Mi lancia un’occhiataccia da sotto le sue folte sopracciglia.
«A parte le pratiche superate.»
Il timer scende a zero, la capsula sblocca la tenuta stagna con un rumore secco e inonda il pavimento con una piccola nube di gas criogeno gelato che ci avvolge le gambe. Olaf appoggia il tablet sulla scrivania, sullo schermo la linea piatta del cuore inizia a ondeggiare.
«C’è battito, è vivo. Parlagli e tienilo sveglio, io tengo sotto controllo i parametri.»
Il vetro della capsula si solleva. All’interno c’è un uomo bianco sulla trentina, capelli neri corti. Ha una cicatrice che parte dallo zigomo e arriva fino al mento. Il segno è netto e pulito, forse un’operazione chirurgica. Sotto il camice bianco si intravede un fisico scolpito.
Il gas criogeno sta venendo ventilato via dai condotti di ventilazione della capsula.
«Ehi Olaf, di che epoca è?»
Scorre con l’indice sul tablet.
«Un paio di secoli fa.»
L’uomo apre gli occhi, boccheggia, afferra il bordo della capsula e tira su la schiena.
«Calmo, stia calmo.» Gli afferro le spalle per impedirgli di alzarsi. «Ha appena terminato il suo riposino. Io sono Phil, si ricorda come si chiama?»
Muove la bocca e si lecca le labbra.
«W… Will…» La sua voce esce roca. «William Trevenas»
«Bene Willy, stia calmo. Riacquisterà le funzioni motorie in pochi secondi, è tutto normale.»
Chiude gli occhi e appoggia la schiena sul fondo della capsula.
«Allora Will, mi parli un po’ della sua epoca. Mi sa che dobbiamo fare un bel corso di aggiornamento.»
Il suo respiro è affannoso, ma Olaf ha sotto controllo i parametri, finché non mi dice nulla sto tranquillo. Tasto la tasca sinistra del mio camice per assicurarmi di avere una siringa di Moprox in caso di emergenza.
«Ci sono… ci sono ancora gli hot dog?»
Chissà perché tutti chiedono degli hot dog.
«Certo. Beh, li facciamo con carne sintetica da quando si sono estinti i maiali, ma sono buoni comunque.»
«I maiali…»
«Grossa pandemia vent’anni fa, brutta storia.»
Willy alza il busto e si guarda attorno.
«Non è la stanza in cui mi hanno ibernato.»
«Avranno spostato la sua capsula, in duecento anni è probabile.»
Olaf mi guarda e unisce pollice e medio della mano. Battito accelerato.
«Stia tranquillo Willy, va tutto bene.» Gli poggio una mano sulla spalla, la pelle è ancora gelida. «Mi racconti ancora, perché si è fatto ibernare?»
Il suo sguardo passa da Olaf a me.
«C’era una guerra, scoppiata prima ancora che io nascessi. Pensavo non ne avrei visto la fine. È terminata, ora?»
Duecento anni fa c’era la terza guerra mondiale, ci credo che si è fatto ibernare.
«Ah, sì, brutta storia anche quella. Sì, è terminata, non si preoccupi.»
«E chi ha vinto?»
«Per fortuna non l’imperatore.»
«Lo sapevo.»
Olaf lascia cadere a terra il tablet e si alza, in mano stringe la sua piccola pistola bianca. Qualcosa mi colpisce alla spalla destra. Willy mi sta puntando contro l’indice. Al posto dell’ultima falange ha una canna di ferro fumante.
Il dolore alla spalla esplode, cado a terra e batto la schiena contro la capsula dietro di me. Urlo. Olaf spara, il raggio rosso colpisce Willy al petto e lo trapassa.
«Phil!» Olaf si inginocchia su di me e mi guarda la ferita. «Come stai?»
«Fa un male cane, ma sopravvivrò. I cyborg non erano banditi dal criosonno?»
«Non due secoli fa. Hai il Moprox?»
Tiro fuori la siringa e gliela passo, Olaf me la inietta nella spalla. Il dolore scompare. «Molto meglio. Grazie.»
«Te l’avevo detto il primo giorno, non sai come ragionava la gente una volta.»
«Già. Immagino che già due secoli fa il cliché del tizio che muore il giorno prima della pensione fosse superato.»
Olaf ride e mi porge una mano per rialzarmi.