Ogni volta che chiudeva gli occhi lo vedeva.
Adele vedeva suo padre, appoggiato alla battagliola d’acciaio della barca, con i baffi sporchi di crema solare, gli stivali di gomma blu sbiadito e un cappello di paglia.
Andare a pescare era l’unico modo per farlo stare zitto, ma lei soffriva per i pesci che si dimenavano fuori dall’acqua, con le bocche rovinate per sempre dagli ardiglioni.
Anche lei si sentiva così.
Infilzata. Ingannata. Soffocata.
Ma avrebbe preferito rimanere lì, con il sole che le scottava la pelle e il rumore delle onde.
Invece la visione cambiava. Suo padre aveva sempre i baffi sporchi, però di vino, ed era seduto a tavola, con il brusio del telegiornale in sottofondo, dove iniziava a lamentarsi della vita e finiva con l’insultare lei.
Parassita. Balena. Incapace.
E quelle parole le scavavano dentro, come i lombrichi fanno con la terra.
“Lo faccio per il tuo bene” era la conclusione di ogni suo lungo monologo, “Perché ti meriti di sapere la verità.”
Aveva provato a parlargli, a chiedergli di smetterla, ma lui aveva quella cattiva abitudine di parlare troppo e non ascoltare mai. Nemmeno se lei piangeva. Nemmeno se si rintanava in camera sua.
“È un vizietto” aveva capitolato lo zio, quell’unica volta che gli aveva chiesto di aiutarla, “Crede di avere la verità in tasca.”
“Lui mi odia.”
“No, che non ti odia.”
“E allora perché mi fa stare male?”
Quello non poteva essere solo un vizietto.
Era come se mani invisibili gli tappassero le orecchie e la sua voce diventasse un megafono.
Adele riaprì gli occhi. Suo padre era lì, sotto un vaso di ortensie che aveva appena posato tra i ciottoli. Una tomba in mezzo a tante altre, accanto a quella di sua madre.
«Perché sei ancora qui?» sussurrò e calde lacrime le scesero lungo le guance, «Perché non mi lasci in pace?»
«Va tutto bene?» Una donna con un innaffiatoio in mano le si avvicinò.
«Oh…» Adele si sfregò via le lacrime con la manica della camicia, «Sì… Sì.»
La sconosciuta le sorrise triste e pescò un fazzoletto dalla borsa. «Ecco…» glielo porse.
Ma Adele si strinse nelle spalle, «Gra… Grazie, devo andare.» Barcollò tra le tombe, allontanandosi, instabile come se avesse avuto i tacchi alti. Inciampò e si sostenne a una lapide rovinata.
“Incapace.”
Strinse le palpebre. Le bruciavano gli occhi. Le lacrime spingevano per uscire di nuovo. Ma non doveva chiuderli, non poteva, o lui sarebbe tornato.
Si rialzò del tutto e uscì in fretta dal cimitero. Più restava lì, più si sentiva soffocare… Ma se, ogni tanto, non avesse portato dei fiori freschi ai suoi morti, che cosa avrebbe pensato la gente di lei?
Aveva incatenato la bici a una rete, di fronte alla fioreria. Doveva solo prenderla, andare a casa, leggere un libro, farsi un bagno caldo e non pensarci più.
La vetrina le rimandò il suo riflesso. Aveva gli occhi gonfi, la camicia nuova a fiori gialli spiegazzata e sudata. Il vento che odorava di salsedine le scompigliò i capelli.
“Balena.”
«Sì, va bene. Ho preso ancora peso!» Sbuffò. «Devi proprio ricordarmelo?»
La fioraia la fissò come se fosse impazzita.
Lei si strinse di nuovo nelle spalle, slegò la bici e montò in sella. Il cuore le batteva così forte che lo sentiva pulsare agitato in ogni angolo del suo corpo. Aveva voglia di chiudere gli occhi, ma non poteva farlo. O lui sarebbe tornato. Pedalò più veloce, come se fosse inseguita da un mostro.
Il suono di un clacson la fece tremare.
“Parassita.”
Tentò di stabilizzare la bici. Una monovolume grigia le era appena sfrecciata accanto. Si spostò dall’asfalto al marciapiede, con le mani che tenevano a fatica il manubrio.
Lasciò la bici in cortile, abbandonandola, come se il suo mostro invisibile potesse allungare una mano e afferrarle una caviglia.
Prese le chiavi e con il fiatone si rifugiò dentro casa, sbattendo la porta di vernice scrostata.
«Ti odio!» si posò al battente e si lasciò scivolare a terra. Il sudore le aveva appiccicato la camicia alla pelle, la paura le faceva formicolare il viso. Quelle parole risuonarono per il piccolo atrio, come un’eco, e lei non sapeva più se erano le sue.
Se erano per suo padre. Oppure odiava se stessa.
Ogni volta che chiudeva gli occhi lo vedeva.
Adele sbatté le palpebre. E la visione ricomparve, a scatti, come la luce dei lampioni che taglia una strada di notte. Suo padre si era scolato un’altra bottiglia. Era ubriaco e le aveva tirato dietro un piatto.
Parassita. Balena. Incapace.
“È perché sta soffrendo anche lui.” Le aveva detto lo zio. “È perché è arrabbiato.”
“Con me?”
“No. Non con te.”
Doveva essere davvero un brutto vizio, quello di riversare il proprio dolore sugli altri.
Adele non respirava. Le girava la testa. Le scoppiava il cuore.
“Che fai? Ora piangi?” Suo padre rideva sotto i baffi sporchi di vino. “Che esagerata.”
«Per favore, tieni il tuo dolore lontano da me.»
Avrebbe dovuto perdere anche lei la sua cattiva abitudine.
Avrebbe dovuto imparare a non ascoltarlo più, a non vederlo più, nemmeno quando chiudeva gli occhi.