Ognuno ha i suoi bisogni

Alberto ci accompagna alla porta di casa e la apre. «Allora, siete proprio sicuri di andarvene già via?»
«Oh, sì.» Afferro Jessica per un braccio e la trascino fuori sul pianerottolo. «Domani devo alzarmi molto presto. Il lavoro, sai… comunque grazie, eh. È stata davvero una bel—»
«Ma se non avete finito di mangiare nemmeno il secondo!» Allarga le braccia. «Mia moglie è stata tutto il giorno ai fornelli per voi.»
E menomale!
Scendo un paio di scalini, con Jessica che mi guarda come fossi pazzo. Ma adesso non è il momento di dare spiegazioni, ora c’è solo da sbrigarsi.
«Albè, grazie davvero. Tutto buono e bello. Ma adesso dobbiamo davvero andare. Vai dentro, saluta Cinzia e dai un bacio ai bimbi, magari si saranno finalmente addormentati. Così voi due…» Gli faccio un occhiolino.
Chissà Jessica cosa starà pensando. Però è fantastica quando mi asseconda senza fare domande. Siamo insieme da poco, ma è una complice perfetta.
E io la amo.
«Buonanotte, Albè.»
«Notte…»
Alberto ci osserva mentre scompariamo tra le rampe di scale. Il rumore della porta che si è chiude è il via libera per accelerare il passo. I gradini, prima scesi con ordine, adesso li salto quattro alla volta, con Jessica che si scapicolla giù, aggrappandosi al corrimano.
Col fiato corto arriviamo al portone del palazzo. Lo spalanco e ci tuffiamo in strada. Finalmente.
Fuori l’aria è tiepida, e un leggero venticello smuove gli alberi sul marciapiede.
Jessica, mi viene muso a muso. Il suo alito sa di curry e di qualche altra cazzo di spezia che c’era dentro a quel coso che sembrava un pollo.
«Ora mi spieghi tutto.» Mette le mani sui fianchi. «Cosa c’è di tanto urgente da scappare come ladri da una cena a casa di amici?»
«Jè, te lo dico papale papale: mi sto cagando sotto.»
Mi accarezza una guancia. «Ma no, di cosa hai paura?»
«No, intendo nel vero senso della frase. Mi sto cagando sotto. Devo cagare.»
Jessica sgrana gli occhi come se avesse davanti un alieno. «Embè?»
«Embè cosa?» Stringo le chiappe e trattengo il respiro. «Io a casa degli altri non ci cago. È l’articolo numero uno della mia personale costituzione.»
«Ma tu stai male!» Scuote la testa. «Guarda che la fanno tutti, eh. Mica solo tu.»
Ma adesso secondo lei è il momento di fare ragionamenti? Adesso che tutto il mio sangue è defluito dal mio cervello per concentrarsi nel mantenere in piedi gli argini di un fiume in piena?
«Jè, stammi a sentire.» Lancio un’occhiata intorno: non c’è nessuno. «Io adesso vado in quel parchetto, perché fino a casa non resisto nemmeno se ci metto un tappo. Tu se vedi arrivare qualcuno fai un fischio.»
«Mah.»
Attraverso la strada e mi infilo nel sentiero costeggiato da panchine di legno. Qui non posso, troppo illuminato. Laggiù. C’è un albero piuttosto al buio, è l’ideale.
Lancio un’ultima occhiata in giro e mi avvicino all’albero. C’è anche un grosso cartone a terra, lo userò per pulirmi.
Mi abbasso i pantaloni e mi appoggio con la schiena alla corteccia ruvida.
Pazzesco, finora stavo esplodendo e adesso non mi viene. Ma è mai possibile? Dai, dai, esci!
Le vene del collo pulsano, i quadricipiti bruciano. Niente.
Un rumore di passi sull’erba. Cazzo.
Mi alzo di scatto e mi tiro su i pantaloni.
Un uomo ciondolante sbuca in penombra e mi viene incontro. È coperto di stracci da capo a piedi: un barbone. Meglio andar via.
L’uomo mi fa un cenno con la testa. «Ma che stai facendo?»
«Mi scusi buon uomo.» Ma che figura. «Voglio essere sincero e sono sicuro che uno come lei mi potrà capire.»
«Sentiamo.»
Ma davvero sto per dirlo? E sia. «Devo cagare.»
L’uomo fa un passo verso di me. Ha la barba incrostata e macchie nere su tutto il viso. «Ma scusa, tra tanti posti, tu a casa mia devi venire a cagare?»
Casa sua? «Mi scusi, davvero io non—»
Scuote la testa e sospira. «Cose da pazzi.»
Scuoto la mia e sospiro anche io. «Comunque adesso ho capito tutto.»
«Eh?»
«No, niente, cose mie. Comunque, se non le dispiace, esco da casa sua e vado a quell’albero disabitato più in là, che magari qualcosa la tiro fuori.»