L’altra faccia della medaglia

Sento squillare il cellulare e avverto una fitta di terrore.
L’Interpol ci ha scoperti.
La voce di Milena che risponde mi rassicura, anche se di poco; questa tachicardia è davvero ostinata.
Mi alzo e vado sul balcone; mi giungono echi della voce di Milena al telefono: «Ciao, Edvige. Sì, qui a Rio il tempo è meraviglioso. Renzo? Oh, no. Sta riposando. Sì, gli dirò che hai chiamato. Montreux il mese prossimo? Benissimo.»
Sento un colpetto sulla spalla e mi giro: passo di colpo dal panorama di palme e sabbia bianca, con tanto di vista sull’oceano a Milena.
La guardo: alta, sinuosa, con l’abito smanicato dalla scollatura quadrata.
Eppure.
Vorrei che il pavimento della terrazza si aprisse in questo istante inghiottendomi.
È stata colpa mia, Milena. Sono stato io lo stupido a crederti. Ma sembrava così facile: niente più sotterfugi. Certo, per te è stato facile liberarti di colpo di un fidanzamento logoro. Io qualche senso di colpa per lei ce l’ho ancora. È stata mia moglie per vent’anni, anche se poi non avevamo più nulla da dirci. E i ragazzi mi mancano. Qualche volta più del solito. Come oggi. Anche loro amavano la vita da spiaggia.

Lei si accorge del mio turbamento e mi accarezza il volto: «Su, su. Buone notizie. Passeremo l’estate in Svizzera, come custodi della villa che Edvige e Marcello hanno laggiù.»
Annuisco, ormai non mi resta altra scelta che seguirla.
Tende le sue braccia verso di me ma io indietreggio.
«Risparmiami le smancerie.»
Ho il fiato corto.
C’è qualcosa di gelido nei suoi occhi castani.
«Eppure, quando te l’ho proposto, eri ben contento.»
Si scosta una ciocca dei suoi lunghi capelli neri.
È rimasta bella come allora, il primo giorno nell’agenzia pubblicitaria di Marcello come sostituta di una delle creatrici di slogan nel reparto pubblicitario: una meninge, come si dice in gergo, di nome e di fatto.
«Disprezzi proprio i regali del destino… ottimo stipendio, vita da spiaggia, shopping. E in più con lo stesso stipendio dell’agenzia ma senza tutte quelle grane.»
Alzo una mano: «Per te, forse.»
La vedo scuotere via una ciocca della sua capigliatura nera a onde e la prevengo: «Ho letto il trafiletto sull’incidente. Perché hai buttato via il giornale?»
La mia è una provocazione; ormai ho impresso nella memoria l’articolo corredato con le fotografie di noi due.
La voce di Marcello è altrettanto indimenticabile.
Ho trovato la soluzione ai vostri problemi. Avere una moglie medico legale fa sempre comodo. Vieni all’obitorio e porta Milena.
Edvige ci aveva mostrato i nostri sosia a notte fonda.
Ecco qui. Una volta che la tua macchina sarà finita nel baratro, nessuno si accorgerà della differenza.
Poi aveva indicato un manico di scopa in un angolo.
Li farò salire dietro a turno: con il manico di scopa e un braccio intorno alle spalle per me e Marcello sarà uno scherzo trasportarli. Tu e Milena ci seguirai con la mia macchina. Dopo l’incidente vi accompagneremo in aeroporto.
Poi ci aveva dato le buste con i passaporti, le carte di credito, e la chiave dell’attico con una strizzata d’occhio.
Ho ancora i brividi se ci penso.
Ecco un altro lucchetto alla mia gabbia dorata.
Milena non ne vede neppure più le sbarre e mi conforta a modo suo.
«Devi dimenticare, come avranno fatto già tutti. Un’auto finita in una scarpata non fa notizia.»
«Non pensi alle nostre famiglie?»
Lei fa spallucce: «Ora è tardi i rimpianti. Siamo dall’altra parte del mondo.»
Faccio una smorfia di disgusto e lei alza il sopracciglio: «Ti ricordo che i due tizi erano già morti quando Edvige ce li ha fatti vedere. Li ha persino vestiti e dato loro un’identità. La nostra.»
«Sì, ma se ci penso sto male. Poveretti, venire sfruttati così, e dopo essere morti di freddo per strada, per giunta.»
Lei mi abbraccia: «E tu non farlo, per loro è stato un bene. Hanno avuto un funerale decoroso. Ti immagini, se no, quanto sarebbero rimasti all’obitorio?»
Per quanto amareggiato, so che ha ragione.
Ricordo il sorriso di Edvige quando ce li ha indicati con gli abiti che le abbiamo dato.
Quando li abbiamo trovati morti di freddo per strada, non avevano certo addosso completi di sartoria come questi. Almeno faranno un ultimo viaggio come si deve.
Mi si secca la gola se penso allo spezzato di lana antracite, regalo natalizio di mia moglie; Milena è rimasta fredda vedendo il suo scamiciato di feltro multicolore addosso a un’altra donna, eppure, quello era un dono del suo fidanzato: lo so, perché li ho incrociati spesso, in centro.
«Hai ragione, cara. Mi è venuta sete. Che ne dici di bere qualcosa in soggiorno?»
La guardo precedermi nell’ampio salone arredato in stile Versace.
Le teste di Medusa alate mi sembrano mostri sul punto di spalancare la bocca nella risata satanica di chi ha svenduto la propria anima.
Milena si siede su uno dei divani rivestiti di seta a greche e prende un bicchiere e una bottiglia dal tavolino di cristallo ovale.
Il succo di melagrana spande il suo aroma dolciastro e lo sorseggio, quasi fosse una cura contro gli ultimi sensi di colpa.
Certo, cambiare vita come piano B come cura per la crisi della mezza età è stata una mossa astuta, tutto sommato: Marcello era stato chiaro, o così o andarsene.
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