La connessione

Il grande sogno collettivo per la perdita di ogni singolarità. Un racconto di Raffaele Marra selezionato durante la STEAMPUNK EDITION.

 
Giunse nel caldo di un venerdì mattina, e tutti ci accorgemmo subito di quanto originale fosse quel tipo.
«Venghino, signori» urlava mentre saltava giù sorridente dal carro cigolante a due piani. La mia Beth, splendida ragazza dalla pelle di perla, staccò dalla mia la sua mano e se la posò sul mento con fare curioso.
La folla fece presto a radunarsi intorno a lui e ai pesanti bauli che tirava fuori da quello strano mezzo che sembrava una piccola torre su quattro ruote. «La scoperta del secolo, non crederete ai vostri occhi» continuava sollevando un sopracciglio sugli spessi occhiali di rame.
Sir Anthony Moore e sua moglie Gwenda lo osservarono con malcelato interesse, mentre la giovane Lucy Campbell smise di lanciare sguardi d’intesa all’impacciato Arthur Smith ed entrambi, quasi contemporaneamente, si mossero verso il centro della piazza.
Persino il reverendo Perry scese i gradini della chiesa fino alla cerchia di curiosi che faceva da platea a quell’insolito spettacolo.
«Faticoso andare per strada, vero? Stancante parlare. Ancor più capirsi…» e prese a tirar fuori dai bauli un mucchio di ferraglia luccicante. Erano per lo più tubi, terminanti in pungoli che parevano il sedere di un’ape, ma molto molto più grandi e minacciosi. E poi c’era un enorme pentolone da locomotiva, con decine e decine di ruote e ingranaggi tutt’intorno.
«Ma io ho qui per voi la connessione» annunciò con enfasi incomprensibile mentre puntava verso me uno di quei lunghi affari. Sentii Beth impaurita, feci un passo indietro.
Fu il giovane Roy Badell a proporsi, uno scapestrato dal viso eternamente sporco di grasso e il sedere deformato dal sellino del triciclo a vapore. Quando quello gli infilò il pungolo sotto la nuca, la metà dei presenti esclamò il proprio ribrezzo. Il pentolone sbuffò, le ruote cigolarono trascinando cinghie e pulegge, Roy sorrise con la solita espressione da ebete (forse un po’ più del solito), e Lucy Campbell sollevò un dito proponendosi come seconda, nonostante il pallore improvviso del suo Arthur.
 
Sono passati sei mesi da quel giorno, e “la connessione” ormai è diffusa ovunque qui in città. Il pentolone sbuffa il suo bianco vapore al cielo rosso dal bel mezzo della piazza mentre centinaia di tubi si diramano nelle nostre strade, nelle nostre case, nelle nostre menti. Ognuno può leggere i pensieri degli altri, le ansie, le paure, le frustrazioni, le attese, le gioie, i godimenti, i patimenti, i dolori. Ognuno di noi lo fa dalla propria stanza, dal proprio salotto, dal letto o dal cesso. Ho smesso di lavorare quaranta giorni fa per restare connesso tutto il giorno e condividere i miei pensieri con gli altri. Siamo quasi tutti qui, ed è fantastico.
Si dice che lo sconosciuto sia tornato, tempo fa, che abbia saccheggiato le nostre case, che nessuno sia stato in grado di reagire. Poco importa. Si dice che l’uomo dallo strano carro a due piani si sia portato via la mia Beth, ma poco importa.
Io qui sto bene, e non voglio staccarmi.
Io ho la connessione.