Il mecenate

Il lusso della dimora del signor Berke mi travolge come se mi avesse investito quello sgangherato del settantaquattro. Lascio andare un respiro troppo rumoroso e faccio roteare il mio sguardo. Mi sento piccola, fuori posto.
Marmo freddo sotto i piedi, pareti alte tappezzate da quadri astratti. Luca saprebbe descrivermeli nel dettaglio, anche se non sono proprio il suo genere.
Le lampade di cristallo pendono dal soffitto come gioielli scintillanti, riflettendo la luce in mille sfumature. Ogni dettaglio della casa parla di una ricchezza e di un gusto raffinato che non ho mai conosciuto.
Il signor Berke mi accoglie con un sorriso appena accennato. È alto, elegante, con un completo nero perfetto. Si appoggia leggermente a un paio di stampelle, cammina con una certa difficoltà, ma nonostante ciò ha un portamento quasi regale.
“Signora Ferretti” dice con voce calda “sono felice che sia venuta.”
Annuisco, cercando di mantenere la calma. “Non potevo non venire. Il suo gesto potrebbe salvare mio marito. Non capisco perché l’abbia fatto, ma… grazie.”
Agita la mano con noncuranza. “Non c’è bisogno di ringraziamenti. Era la cosa giusta da fare.”
Mi fa cenno di seguirlo. Superiamo una pesante porta di legno e mi offre una seduta nel suo studio: una stanza piena di libri e ombre. Mi siedo, ma la poltrona è troppo morbida, troppo confortevole. Il cuore batte forte e non capisco perché. Cos’ha questo uomo di così affascinante?
Il signor Berke prende due bicchieri larghi da una credenza e quasi mi aspetto tiri fuori del brandy dal cassetto della sua ampia scrivania. In realtà prende una bottiglia di vetro e versa della semplice acqua prima nel mio bicchiere e poi nel suo.
Sono tentata di fare un brindisi, ma mi fermo prima di commettere una simile stupidaggine.
 
“Io” deglutisco con forza. “Quando prendevo il settantaquattro.”
“Il settantaquattro?” mi chiede.
“Sì, il bus.”
“Oh, continui.”
“Quando prendevo il settantaquattro, be’ il bus, per andare a lavoro osservavo sempre la sua immensa casa e mai avrei immaginato un giorno di entrarci. Con le mie colleghe ridevamo dicendo che ci abitava Bruce Wayne.”
Una dentatura perfetta balena fra le sue labbra strette. Sogghigna di gusto. “Sono stato svelto a nascondere il mantello.”
“Sì, ammetto che è stato bravo. Anche se pensavo fosse il maggiordomo come l’ho vista.”
Le sue labbra sottili scompaiono. Una riga solca il suo viso. Deve essere sui sessant’anni anche se li porta bene.
“Scherzavo, signor Berke”
“Lo immaginavo.”
Mi si avvicina e mi sfiora una mano. I suoi occhi neri sono magnetici.
“Mi dica signor Berke. Perché lo ha fatto?”
Abbassa lo sguardo per un momento, quasi come se stesse riflettendo su cosa rispondere. “È stata una decisione personale. Ho voluto aiutare, tutto qui.”
“Senta, signor Berke, mi scusi la franchezza, ma io proprio non capisco. Cosa diavolo c’entra una persona come lei con mio marito? Luca è un meccanico di Via Tor Pagnotta e lei… be’” agito la testa. “Un duca della dinastia inglese.”
Sorride e bofonchia. “Non sono un duca e non sono nemmeno inglese. In realtà ho ereditato il cognome di mia madre che era tedesca. Mio padre l’ho conosciuto veramente poco.”
“E quindi?”
“Venga a vedere.”
Seguo il signor Berke. Superiamo il corridoio di prima ed entriamo in un’altra stanza fittissima di quadri.
“Vede questi dipinti signora Ferretti? Non li riconosce?”
“Santo cielo!”
Il cuore mi si ferma.
 
“Io! Quella sono io!”
La Venere della Tiburtina la chiamava Luca. Ci aveva lavorato due anni. E ora era lì, proprio in quella stanza, nella collezione privata di quella specie di Batman.
“Signor Berke! Come cazzo fa ad avere questo quadro?”
“Ma come? Suo marito non gliel’aveva detto?”
“Luca aveva detto che il quadro era stato perso quando lo aveva spedito in Spagna per una mostra. Era così dispiaciuto.”
Realizzo che il signor Berke può osservare le mie nudità tutte le volte che vuole.
“Ma a che gioco state giocando lei e mio marito?”
Sono furiosa. Mi avvicino al quadro. La stampella del signor Berke mi blocca a metà strada. L’alluminio è freddo e lucido.
“Adesso si calmi signora Ferretti.”
“Cosa vuole fare? Vuole colpirmi? Vuole ucceidermi?”
“No, signora mi scusi.”
Arretro con i pugni chiusi. Mi gira la testa dalla rabbia. Afferro un telo nero che cade e libera la vista di un nuovo quadro.
Il cuore mi si ferma per la seconda volta.
 
È raccapricciante. C’è l’immagine di Luca e del signor Berke nudi e abbracciati.
“Io…”
Faccio un passo indietro. Mi volto e fuggo da quella dimora degli orrori.
 
***
 
Il bip delle macchine dell’ospedale riempie l’aria. Luca è pallido e debole. Gli tengo la mano, cercando di trovare le parole. Quando si rimetterà in sesto cercherò una spiegazione. Per ora l’importante è che tu sia vivo. Che tu sia qui con me.
“L’operazione è stata un successo” dico con un sorriso forzato.
Mi guarda giusto un attimo poi osserva le sue dita. Le muove. È stanco ma felice.
“È andato tutto bene Luca. Potrai continuare a fare il meccanico. Tranquillo.”
Sospira, scuote la testa e sussurra: “Potrò continuare a dipingere.”