Intervista ad Andrea Carlo Cappi

Spartaco: Autore di più di cinquanta titoli, molti dei quali pubblicati da Segretissimo e Giallo Mondadori, ha collaborato alla sceneggiatura di fumetti e fiction radiofoniche, tradotto libri e curato antologie e collane editoriali per diverse Case Editrici. È con orgoglio che vi presentiamo Andrea Carlo Cappi, Guest Star di novembre 2017 di Minuti Contati.
 
Ciao Andrea, benvenuto su Minuti Contati. Grazie per aver accettato il nostro invito.

 
Spartaco: Partiamo subito con una curiosità: François Torrent è lo pseudonimo che hai usato per alcune pubblicazioni su Segretissimo. Da dove nasce questo nome e perché pubblicare sotto pseudonimo?
 
Cappi: In passato ricorrevo a pseudonimi quando scrivevo su riviste in cui poteva capitare che in uno stesso numero apparisse più di un mio articolo; di uno di questi nomi mi sono servito poi per non confondere i lettori quando firmavo libri satirici – in particolare uno contro la pena di morte e uno contro il razzismo – piuttosto diversi dalla mia consueta produzione. François Torrent è nato invece dalla richiesta di Segretissimo Mondadori di usare uno pseudonimo straniero, preferibilmente francese per richiamare la grande tradizione della spy-story d’Oltralpe. Ho barato, scegliendo un cognome che sembra francese ma in realtà io pronuncio torrént, in maiorchino. Dal 2008 le vere identità degli scrittori sotto pseudonimo della cosiddetta Legione – gli autori italiani di Segretissimo – sono state rivelate, ma il nom de plume è rimasto come marchio di fabbrica della serie Agente Nightshade, anche se questa si ricollega ad altre serie (Medina e, più di recente, Black) che ho sempre firmato con il mio vero nome.
 
Spartaco: Tra le altre cose, sei autore di noir, gialli, spy story… quel è il tuo genere letterario di riferimento?
 
Cappi: Mi sono occupato anche di avventura, fantasy, fantascienza, horror, narrativa erotica… spesso intrecciandoli tra loro. Le matrici dominanti sono però quelle del giallo, specie quello d’azione, e dell’intrigo internazionale.
 
Spartaco: Come ti sei avvicinato alla letteratura e quando hai capito che sarebbe potuta diventare la tua professione?
 
Cappi: A sei anni ero già un lettore vorace, soprattutto di Emilio Salgari, e dove ancora non arrivavo con i libri arrivavo con i fumetti, da Diabolik ai supereroi di Stan Lee passando per Tex, e con il cinema, da Hitchcock agli spaghetti western. L’illuminazione risale al 1970, quando vidi il film Agente 007-Licenza di uccidere: saputo che dietro a James Bond c’era uno scrittore, decisi che da grande non volevo diventare 007, volevo essere Ian Fleming. Pensavo che questo mi avrebbe garantito donne bellissime e vodka martini senza bisogno che qualcuno cercasse di uccidermi. Non sapevo ancora due cose: Fleming era ricco di famiglia e a volte gli editori sono più letali della Spectre.
 
Spartaco: Ora molti vedono in Andrea Carlo Cappi un idolo da emulare, quali sono stati i tuoi autori di riferimento?
 
Cappi: L’elenco sarebbe molto lungo: riducendo all’essenziale, in una prima fase Raymond Chandler, Ian Fleming… ma anche Agatha Christie e Isaac Asimov. In una fase successiva, Dashiell Hammett, Giorgio Scerbanenco e Manuel Vázquez Montalbán. Però non consiglierei a nessuno di emularmi quando mi trovo a lavorare dalle diciotto alle venti ore al giorno, spesso per mesi senza interruzione. Come si suol dire, ragazzi, non fatelo a casa.
 
Spartaco: In tanti anni di scrittura avrai conosciuto un numero indefinito di autori. Hai mai pensato: “Vorrei avere il suo…”? Se sì, chi era l’autore e cosa gli invidiavi?
 
Cappi: Sì, sul piano tecnico ho desiderato molte caratteristiche di altri autori e, quando possibile, ho cercato di appropriarmene, leggendoli con attenzione, traducendoli, in qualche caso parlandone di persona con loro. Per citare solo quelli con cui ho avuto la fortuna di fare amicizia, le strutture narrative di Richard Stark alias Donald E. Westlake, la psicologia dell’antieroe degli ultimi romanzi di Stuart M. Kaminsky, la fusione tra generi in molti libri di Douglas Preston, la concatenazione di eventi in molti thriller di Jeffery Deaver, l’umanità nei noir di Raymond Benson, la decostruzione di Paco Ignacio Taibo II… E non nomino gli autori italiani perché sarebbero tantissimi. Quello di cui non ci si può appropriare è la profondità di certi scrittori nell’indagine sulla natura umana, con cui non ho la minima pretesa di misurarmi.
 
Spartaco: Di contro, la letteratura è piena di “fenomeni mediatici”. Qui non ti chiedo di farmi il nome, ma c’è qualcuno di successo che reputi sovrastimato? Perché?
 
Cappi: Quello che fa la differenza è la possibilità di imporre un certo titolo sul mercato, privilegio di grossi gruppi editoriali, che però si muovono solo per lo sfruttamento di personaggi famosi (e non sempre funziona, indipendentemente dal talento del singolo o dal passaparola) oppure per rientrare di investimenti spropositati per l’acquisto di presunti bestseller stranieri, trasformandoli con la forza in autentici bestseller sopravvalutati ad hoc (e anche qui non sempre l’operazione ha successo). Spesso si tratta di sottoprodotti imitativi rispetto a romanzi precedenti dello stesso genere, anche di autori italiani, che però non beneficiano di un analogo lancio.
 
Spartaco: La tua carriera da scrittore è cominciata qualche anno fa. Se un lettore che non ti conosce volesse iniziare a leggere le tue opere, da quale gli consiglieresti di partire?
 
Cappi: Ormai sono passati ventisette anni. La mia produzione è molto differenziata per generi, pur avendo sempre elementi in comune, e anche quando scrivo una serie cerco sempre di raccontare storie diverse tra loro. C’è poi chi preferisce i miei libri di non-fiction, così come chi invece apprezza solo i romanzi. Forse, oggi, direi di partire da uno dei romanzi con Toni Black, Black and Blue e Back to Black: pur facendo parte dell’universo chiamato, Kverse comprendente anche le storie di Medina e Nightshade, sono quelli in cui mi concedo maggiore libertà di espressione personale.
 
23360882_10214505365964746_501446997_n
 
Spartaco: Domanda a bruciapelo: qual è il tuo libro a cui sei più affezionato?
 
Cappi: Suppongo che sia Ladykill – Morte accidentale di una lady, il primo romanzo lungo con Medina, che ha da poco compiuto vent’anni ed è il mio libro più venduto fra tutti. Ma sono legato a tutto quello che ho scritto, altrimenti non lo avrei scritto.
 
Spartaco: Martin Mystère, Diabolik e Fantômas sono solo alcuni dei personaggi del fumetto italiano a cui hai dato nuova vita. Qual è la difficoltà maggiore nell’approcciare questo lavoro?
 
Cappi: In realtà per Fantômas non sono partito dai fumetti italiani, bensì dalla versione originale del primo Novecento: in quel caso volevo risalire al personaggio di Allain e Souvestre, ispiratore dei primi albi di Diabolik, scrivendone il nome Phantômas per evitare problemi di copyright. Per Martin Mystère e Diabolik invece scrivo romanzi ufficiali, inseriti nella continuity delle storie classiche, e lavoro sempre con l’attenta e preziosa supervisione degli autori delle serie a fumetti. La difficoltà, ma soprattutto la sfida, consiste nel rispettare i canoni e, appunto, la continuity, scrivendo storie del tutto nuove che possano funzionare anche con il linguaggio della sola narrativa e non con quello narrativo-visivo dei fumetti.
 
Spartaco: Come hai scelto i personaggi su cui scrivere un libro?
 
Cappi: Non li ho scelti io, è stato il destino. Nella saga di Martin Mystère sono entrato la prima volta come consulente per una storia scritta dal mio amico Andrea Pasini, con cui poi ho collaborato ad alcune sceneggiature a fine anni Novanta; nel frattempo lui aveva fatto leggere ad Alfredo Castelli – creatore di Mystère, oltre che di molti altri eroi del fumetto italiano– alcune mie storie del Cacciatore di Libri: da qui a Castelli è venuta l’idea di fare incontrare i due personaggi in un mio racconto lungo. Dopodiché, da un suo soggetto, nel 2000 ho scritto il feuilleton online Martin Mystère – Il codice dell’Apocalisse; infine nel 2002 ho cominciato a scrivere i romanzi, il terzo dei quali, Martin Mystère – La Donna Leopardo, uscito da Bonelli in edicola nell’estate 2017, dovrebbe inaugurare una vera e propria serie.
Per quanto riguarda Diabolik, alla fine del 2000 si era ventilata la possibilità di un analogo feuilleton online, poi non realizzato; ma nel frattempo l’idea per la prima storia stava maturando e non riuscivo più a liberarmene: dovevo scriverla. Il fatto che nel frattempo mi fossi accreditato come autore narrativo di Martin Mystère mi ha permesso di proporre e avviare nel 2002 la mia saga di Diabolik & Eva Kant, attualmente costituita da quattro romanzi. Perché quando si entra in profondità in un mondo narrativo, si scopre che i personaggi non vogliono essere abbandonati solo perché è finito il romanzo.
 
Spartaco: C’è qualche altro fumetto italiano che meriterebbe una serie di libri?
 
Cappi: Moltissimi, data la ricchezza della produzione, dalla nascita di Tex fino ai giorni nostri. Se potessi scegliere io un altro personaggio, credo che risponderei Mister No, che sono riuscito a far riapparire insieme a Martin Mystère sia in una storia in due albi scritta con Pasini, sia in un cameo nel primo romanzo. Ma l’influenza fumettistica si estende anche su altri miei libri. Nelle origini di Mercy “Nightshade” Contreras ho inserito in modo del tutto inconscio molti punti in comune con quelle di Diabolik, cosa di cui mi sono accorto solo in un secondo tempo. Mentre il mio ciclo delle vampire, Danse Macabre, è intenzionalmente una rilettura moderna dei fumetti horror-erotici degli anni Sessanta-Settanta.
 
Spartaco: Personaggi dei fumetti, ma soprattutto personaggi originali. Carlo Medina, Nightshade e Toni “Black” Porcell sono alcuni dei protagonisti ricorrenti delle tue opere. Che rapporto hai con i tuoi personaggi?
 
Cappi: Vivono insieme a me. Cambiano nei decenni, a differenza di molti personaggi seriali che per tradizione mantengono nel tempo la stessa età e le stesse caratteristiche. Medina aveva poco più di trent’anni nelle prime storie, ora ha passato i cinquanta; Nightshade ha superato i quaranta, Black ci si sta avvicinando. Scelgono i loro destini. Medina e Nightshade ormai stanno insieme da qualche anno, Black passa dall’una all’altra “donna della sua vita (della settimana)”, sempre alla ricerca della “donna della sua vita (della sua vita)”. Ma soprattutto tutti insistono perché torni a scrivere le loro avventure.
 
Spartaco: Sei anche uno dei maggiori traduttori italiani, quindi conosci molto bene la letteratura anglofona. Cos’ha in più rispetto a quella nostrana?
 
Cappi: Lavorando anche sullo spagnolo, sono molto legato anche a una lunga stagione della novela negra, quella di Manuel Vázquez Montalbán, Juan Madrid, Andreu Martín, Pedro Casals… Ma anche la scuola di lingua francese ha un bagaglio immenso. Tuttavia è chiaro che l’inglese è la lingua letta da tutti gli editori del mondo e che domina il mercato. Questo non vuol dire che oggi all’estero siano superiori a noi, né che abbiano più occhio: si pensi a Joe R. Lansdale o Raymond Benson, più apprezzati in Italia che oltreoceano. E anche il professionismo che contraddistingueva certa narrativa straniera comincia a venir meno. Spesso in Italia si trovano talenti superiori, che non sono necessariamente quelli più promossi dalle nostre case editrici in libreria: mi capita di continuo di trovare testi più interessanti nelle collane da edicola o in case editrici medie o piccole e ormai anche in libri autoprodotti, quando sono scritti da persone che hanno letto abbastanza da sapere come si scrive.
 
Spartaco: Tra gli autori italiani c’è qualcuno che, se avesse scritto in inglese, sarebbe potuto diventare famoso in tutto il mondo?
 
Cappi: A parte me stesso, i primi nomi che mi vengono in mente sono Giancarlo Narciso o Stefano Di Marino (quest’ultimo probabilmente l’autore di narrativa di genere più letto in Italia), la cui visione internazionale li potrebbe rendere universali pur mantenendo una matrice europea, italiana e persino milanese. S’intende che occorrerebbe un editore adeguato anche in lingua inglese: ormai in tutto il mondo prevale la mentalità del bestseller prefabbricato su presunti gusti del pubblico, che funziona solo se pompato a forza di marketing. Oggi anche i maestri che hanno fatto la storia del noir americano forse avrebbero difficoltà a sopravvivere.
 
Spartaco: Visto che è anche un nostro amico, che spero avremo presto da queste parti, ti chiedo di descrivere Andrea G. Pinketts in tre parole…
 
Cappi: Inarrestabile, inimitabile, irriducibile. Inarrestabile perché trova sempre nuove imprese in cui lanciarsi, inimitabile perché l’originale si riconosce sempre, irriducibile perché non può essere incasellato in una definizione – che sia giallo, noir, giovane cannibale, pulp e via dicendo – perché è uno dei rari autori che costituiscano un genere a sé.
 
Spartaco: Veniamo a Minuti Contati. Il 20 novembre i nostri utenti saranno impegnati a scrivere un racconto ispirato da un tema deciso da te. Considerata l’esperienza che hai maturato con racconti dal vivo, immagino che per te quattro ore siano anche troppe per scrivere 5000 battute, o sbaglio?
 
Cappi: Il mio slogan è «Le storie esistono, aspettano solo di essere raccontate». Quando si improvvisa un racconto in pochi minuti, con il fiato del pubblico sul collo, ci si stupisce sempre di come prima non ci sia nulla e poco dopo c’è una storia. A volte, in privato, mi è capitato di scriverne in mezz’ora, per non perdere un’idea appena venuta in mente.
 
Spartaco: Di racconti ne scrivi parecchi e, come hai dimostrato con le improvvisazioni dei racconti dal vivo, sai cosa vuol dire combattere contro il tempo. Dai un consiglio ai nostri utenti…
 
Cappi: Ultimamente mi è capitato di combattere contro il tempo anche scrivendo romanzi che avevo in lista d’attesa da anni, concedendomi solo due o tre settimane per ciascuno in un’agenda sovraffollata di traduzioni. Questo non significa che ogni volta avessi già in mentre l’intera storia; tutt’altro, altrimenti avrei già saputo troppo e non avrei avuto sorprese, quindi mi sarebbe passata la voglia di scriverli. Conoscevo l’argomento e i protagonisti, altri personaggi sono nati via via; e quando i personaggi sono inseriti in determinate situazioni, è la loro stessa vitalità a determinare gli sviluppi della trama. Quindi… lasciate fare a loro.
 
Spartaco: Domanda di rito da queste parti: cosa non deve mancare in un racconto breve?
 
Cappi: L’idea originale. Sono cresciuto leggendo, oltre al resto, i racconti delle antologie di Hitckcock o delle raccolte di Urania. L’idea può essere il colpo di scena, il twist come dice Jeffery Deaver. O un personaggio centrale e il suo modo di vedere il mondo, oppure ancora l’ambientazione. Oppure ancora il non-detto: da questo punto di vista Colline come elefanti bianchi di Hemingway è magistrale, riuscendo a raccontare un’intera storia mediante sottintesi, con dialoghi essenziali e un’azione elementare quasi impercettibile.
 
Spartaco: Siamo arrivati alla fine di questa intervista. So di aver abusato del tuo tempo, ma non capita tutti i giorni di poter intervistare autori del tuo calibro. Noi di Minuti Contati ti ringraziamo per l’occasione che ci hai concesso e ti auguriamo una buona Andrea Carlo Cappi Edition!